“C'è una dignità immensa, nella gente, quando si porta addosso le proprie paure, senza barare, come medaglie della propria mediocrità.”

Alessandro Baricco

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“Potevi pensare che era matto. Ma non era così semplice. Quando uno ti racconta con assoluta esattezza che odore c’è in Bertham Street, d’estate, quando ha appena smesso di piovere, non puoi pensare che è matto per la sola stupida ragione che in Bertham Street, lui, non c’è mai stato. Negli occhi di qualcuno, nelle parole di qualcuno, lui, quell’aria, l’aveva respirata davvero. A modo suo: ma davvero. Il mondo, magari, non l’aveva visto mai. Ma erano ventisette anni che il mondo passava su quella nave: ed erano ventisette anni che lui, su quella nave, lo spiava. E gli rubava l’anima.In questo era un genio, niente da dire. Sapeva ascoltare. E sapeva leggere. Non i libri, quelli suon buoni tutti, sapeva leggere la gente. I segni che la gente si porta addosso: posti, rumori, odori, la loro terra, la loro storia… Tutta scritta, addosso. Lui leggeva, e con cura infinita, catalogava, sistemava, ordinava… Ogni giorno aggiungeva un piccolo pezzo a quella immensa mappa che stava disegnandosi nella testa, immensa, la mappa del mondo, del mondo intero, da un capo all’altro, città enormi e angoli di bar, lunghi fiumi, pozzanghere, aerei, leoni, una mappa meravigliosa.”


“In cio', ci allineiamo, non si sa quanto consapevoli, a un'idea di fondo, squisitamente barbara, che in teoria non condividiamo, ma in realta' pratichiamo senza nessuna difficolta': il senso delle cose non alberga in un loro tratto originario e autentico, ma nella traccia che da esse sprigiona quando entrano in connessione con altri pezzi di mondo.”


“Sensazione meravigliosa. Di quando il destino finalmente si schiude, e diventa sentiero distinto, e ormai inequivocabile, e direzione certa. Il tempo interminabile dell'avvicinamento. Quell'accostarsi. Si vorrebbe non finisse mai. Il gesto di consegnarsi al destino. Quella è un'emozione: Senza più dilemmi, senza più menzogne. Sapere dove. E raggiungerlo. Qualunque sia, il destino.”


“Sabbia a perdita d'occhio, tra le ultime colline e il mare - il mare - nell'aria fredda di un pomeriggio quasi passato, e benedetto dal vento che sempre soffia da nord. La spiaggia. E il mare. Potrebbe essere la perfezione immagine per occhi divini mondo che accade e basta, il muto esistere di acqua e terra, opera finita ed esatta, verità - verità - ma ancora una volta è il salvifico granello dell'uomo che inceppa il meccanismo di quel paradiso, un'inezia che basta da sola a sospendere tutto il grande apparato di inesorabile verità, una cosa da nulla, ma piantata nella sabbia, impercettibile strappo nella superficie di quella santa icona, minuscola eccezione posatasi sulla perfezione della spiaggia sterminata. A vederlo da lontano non sarebbe che un punto nero: nel nulla, il niente di un uomo e di un cavalletto da pittore. Il cavalletto è ancorato con corde sottili a quattro sassi posati nella sabbia. Oscilla impercettibilmente al vento che sempre soffia da nord. L'uomo porta alti stivali e una grande giacca da pescatore. Sta in piedi, di fronte al mare, rigirando tra le dita un pennello sottile. Sul cavalletto, una tela.”


“A me m'ha sempre colpito questa faccenda dei quadri. Stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, fran, giù, cadono. Stanno lì attaccati al chiodo, nessuno gli fa niente, ma loro a un certo punto, fran, cadono giù, come sassi. Nel silenzio più assoluto, con tutto immobile intorno, non una mosca che vola, e loro, fran. Non c'è una ragione. Perché proprio in quell'istante? Non si sa. Fran. Cos'è che succede a un chiodo per farlo decidere che non ne può più? C'ha un'anima, anche lui, poveretto? Prende delle decisioni? Ne ha discusso a lungo col quadro, erano incerti sul da farsi, ne parlavano tutte le sere, da anni, poi hanno deciso una data, un'ora, un minuto, un istante, è quello, fran. O lo sapevano già dall'inizio, i due, era già tutto combinato, guarda io mollo tutto tra sette anni, per me va bene, okay allora intesi per il 13 maggio, okay, verso le sei, facciamo sei meno un quarto, d'accordo, allora buonanotte, 'notte. Sette anni dopo, 13 maggio, sei meno un quarto, fran. Non si capisce. È una di quelle cose che è meglio che non ci pensi, se no ci esci matto. Quando cade un quadro. Quando ti svegli un mattino, e non la ami più. Quando apri il giornale e leggi che è scoppiata la guerra. Quando vedi un treno e pensi io devo andarmene da qui. Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio. Quando, in mezzo all'Oceano, Novecento alzò lo sguardo dal piatto e mi disse: "A New York, fra tre giorni, io scenderò da questa nave". Ci rimasi secco. Fran.”


“Non è che la vita vada come tu te la immagini. Fa la sua strada. E tu la tua. Io non è che volevo essere felice, questo no. Volevo... salvarmi, ecco: salvarmi. Ma ho capito tardi da che parte bisognava andare: dalla parte dei desideri. Uno si aspetta che siano altre cose a salvare la gente: il dovere, l'onestà, essere buoni, essere giusti. No. Sono i desideri che salvano. Sono l'unica cosa vera. Tu stai con loro, e ti salverai. Però troppo tardi l'ho capito. Se le dai tempo, alla vita, lei si rigira in un modo strano, inesorabile: e tu ti accorgi che a quel punto non puoi desiderare qualcosa senza farti del male. E' lì che salta tutto, non c'è verso di scappare, più ti agiti più si ingarbuglia la rete, più ti ribelli più ti ferisci. Non se ne esce. Quando era troppo tardi, io ho iniziato a desiderare. Con tutta la forza che avevo. Mi sono fatta tanto di quel male che tu non puoi nemmeno immaginare. ”