“Sabbia a perdita d'occhio, tra le ultime colline e il mare - il mare - nell'aria fredda di un pomeriggio quasi passato, e benedetto dal vento che sempre soffia da nord. La spiaggia. E il mare. Potrebbe essere la perfezione immagine per occhi divini mondo che accade e basta, il muto esistere di acqua e terra, opera finita ed esatta, verità - verità - ma ancora una volta è il salvifico granello dell'uomo che inceppa il meccanismo di quel paradiso, un'inezia che basta da sola a sospendere tutto il grande apparato di inesorabile verità, una cosa da nulla, ma piantata nella sabbia, impercettibile strappo nella superficie di quella santa icona, minuscola eccezione posatasi sulla perfezione della spiaggia sterminata. A vederlo da lontano non sarebbe che un punto nero: nel nulla, il niente di un uomo e di un cavalletto da pittore. Il cavalletto è ancorato con corde sottili a quattro sassi posati nella sabbia. Oscilla impercettibilmente al vento che sempre soffia da nord. L'uomo porta alti stivali e una grande giacca da pescatore. Sta in piedi, di fronte al mare, rigirando tra le dita un pennello sottile. Sul cavalletto, una tela.”
“Io so cosa vuol dire essere felice nella vita e la bontà dell'esistenza, il gusto dell'ora che passa e delle cose che si hanno intorno, pur senza muoversi, la bontà di amarle, le cose, fumando, e una donna in esse. Conosco la gioia di un pomeriggio d'estate a leggere un libro d'avventure cannibalesche seminudo in una chaiselongue davanti a una casa di collina che guardi il mare. E molte altre gioie insieme; di stare in un giardino in agguato e ascoltare che il vento muove le foglie appena (le più alte) di un albero; o in una sabbia sentirsi screpolate e crollare infinita esistenza di sabbia; o nel mondo popolato di galli levarsi prima dell'alba e nuotare, solo in tutta l'acqua del mondo, presso a una spiaggia rosa. E io non so cosa passa sul mio volto in quelle mie felicità, quando sento che si sta così bene a vivere: non so se una dolcezza assonnata o piuttosto sorriso. Ma quanto desiderio d'avere cose! Non soltanto mare o soltanto sole e non soltanto una donna e il cuore di lei sotto le labbra. Terre anche! Isole! Ecco: io posso trovarmi nella mia calma, al sicuro, nella mia stanza dove la finestra è rimasta tutta la notte spalancata e d'improvviso svegliarmi al rumore del primo tram mattutino; è nulla un tram: un carrozzone che rotola, ma il mondo è deserto attorno e in quell'aria creata appena, tutto è diverso da ieri, ignoto a me, e una nuova terra m'assale.”
“Dicono che il privato è politico; non è vero, naturalmente. Anzi, al centro della lotta per i diritti politici c'è proprio il desiderio di proteggere noi stessi, di impedire al politico di intromettersi nella vita privata. Pubblico e privato sono legati da un rapporto di interdipendenza, ma ciò non significa che siano la stessa cosa. Il regno dell'immaginazione è come un ponte che li modifica di continuo l'uno rispetto all'altro. Il re filosofo di Platone lo sapeva, e così il nostro censore cieco; non c'è quindi da stupirsi che il primo obiettivo della Repubblica Islamica fosse quello di eliminare il confine tra i due ambiti, finendo per distruggerli entrambi.”
“E la sera, dalla mia stanza di bambina, guardo I lumi della città sul mare. E certe volte ho l’impressione di essere ancora quella di una volta, e che gli anni non siano mai passati. E penso : laggiù è la vera vita, laggiù il mondo, l’avventura, il sogno ! E fantastico un giorno o l’altro di partire. Lo vede dunque che non è mai finita ?”
“Un racconto era diretto e semplice, non ammetteva alcuna intrusione tra lei e il lettore - nessun intermediario con le proprie personali ambizioni e incompetenze, nessuna urgenza di tempo, nessun limite alle risorse disponibili. In un racconto bastava desiderare, e poi mettere per iscritto il desiderio, e potevi crearti un mondo; in un dramma invece ti toccava fare con quello che avevi a disposizione: niente cavalli, niente strade di un villaggio, niente mare. Niente sipario. Sembrava talmente ovvio, adeso che era troppo tardi: il racconto era una sorta di telepatia. Attraverso la trascrizione di segni sulla pagina, lei era in grado di trasferire pensieri e sentimenti dalla sua mente a quella del lettore. Era un processo magico, tanto comune che nessuno si soffermava a rifletterci. Leggere una frase coincideva con il comprenderla; come nel caso del gesto di piegare un dito, tra il prima e il dopo non c'era nulla. Non esisteva intervallo che precedesse la comprensione dei segni. Vedevi la parola castello ed eccolo là, in lontananza, circondato da frondosi boschi estivi, immerso nell'aria dolce e azzurrina tagliata dal filo di fumo che sale dalla bottega del fabbro, con una strada di ciottoli che sparisce serpeggiando nell'ombra verde.”
“...Ora leggo di una nuova malattia che ho da sempre. E' quella di chi entra in un negozio, in un ufficio pubblico, al ristorante, e nessuno sembra accorgersi di lui, tutti gli passano davanti, quando è il suo turno lo sportellista guarda il vuoto e apprende il cartello "chiuso", il cameriere corre se chiunque alza un dito, ma non verrà mai da lui neanche se salirà coi piedi sul tavolo a sbracciarsi e gridare. La chiamano "sindrome dell'invisibilità involontaria". e mi consola un po'. Credevo di essere molto più semplicemente una nullità come tutti.”