“Temo che il senso della vita sia estorcere la felicità a se stessi, tutto il resto è una forma di lusso dell'animo, o di miseria, dipende dai casi.”
“[la vendetta] è il solo farmaco che ci sia contro il dolore, tutto quello che si è trovato per non impazzire, è la droga con cui ci rendono capaci di combattere.”
“Venivano dai più lontani estremi della vita, questo è stupefacente, da pensare che mai si sarebbero sfiorati se non attraversando da capo a piedi l'universo, e invece neanche si erano dovuti cercare, questo è incredibile, e tutto il difficile è stato riconoscersi, riconoscersi, una cosa di un attimo, il primo sguardo è già lo sapevano, questo è il meraviglioso. Questo continuerebbero a raccontare, per sempre, nelle terre di Carewall, perché nessuno possa dimenticare che non si è mai lontani abbastanza per trovarsi, mai - lontani abbastanza - per trovarsi - lo erano quei due, lontani più di chiunque altro.”
“Sabbia a perdita d'occhio, tra le ultime colline e il mare - il mare - nell'aria fredda di un pomeriggio quasi passato, e benedetto dal vento che sempre soffia da nord. La spiaggia. E il mare. Potrebbe essere la perfezione immagine per occhi divini mondo che accade e basta, il muto esistere di acqua e terra, opera finita ed esatta, verità - verità - ma ancora una volta è il salvifico granello dell'uomo che inceppa il meccanismo di quel paradiso, un'inezia che basta da sola a sospendere tutto il grande apparato di inesorabile verità, una cosa da nulla, ma piantata nella sabbia, impercettibile strappo nella superficie di quella santa icona, minuscola eccezione posatasi sulla perfezione della spiaggia sterminata. A vederlo da lontano non sarebbe che un punto nero: nel nulla, il niente di un uomo e di un cavalletto da pittore. Il cavalletto è ancorato con corde sottili a quattro sassi posati nella sabbia. Oscilla impercettibilmente al vento che sempre soffia da nord. L'uomo porta alti stivali e una grande giacca da pescatore. Sta in piedi, di fronte al mare, rigirando tra le dita un pennello sottile. Sul cavalletto, una tela.”
“Non ti amo per noia, o per solitudine, o per capriccio. Ti amo perchè il desiderio di te è più forte di qualsiasi felicità.”
“Tutta quella città… non se ne vedeva la fine… /La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine? /E il rumore /Su quella maledettissima scaletta… era molto bello, tutto… e io ero grande con quel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi, era garantito che sarei sceso, non c’era problema /Col mio cappello blu /Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino /Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino /Primo gradino, secondo /Non è quel che vidi che mi fermò /È quel che non vidi /Puoi capirlo, fratello?, è quel che non vidi… lo cercai ma non c’era, in tutta quella sterminata città c’era tutto tranne /C’era tutto /Ma non c’era una fine. Quel che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo /Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu, sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare. Loro sono 88. Tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu /Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me /Ma se io salgo su quella scaletta e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi /Milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai e questa è la vera verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita /Se quella tastiera è infinita, allora /Su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare. Ti sei seduto su un seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio /Cristo, ma le vedevi le strade? /Anche solo le strade, ce n’era a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una /A scegliere una donna /Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire /Tutto quel mondo /Quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce /E quanto ce n’è /Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla? A viverla… /Io sono nato su questa nave. E qui il mondo passava, ma a duemila persone per volta. E di desideri ce n’erano anche qui, ma non più di quelli che ci potevano stare tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità, su una tastiera che non era infinita.Io ho imparato così. La terra, quella è una nave troppo grande per me. È un viaggio troppo lungo. È una donna troppo bella. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare.”
“n tutto quel fragore io sentii il suono della punta di bronzo che cadeva sul legno della tolda. E Aiace capì. Che quello era il mio giorno, e che gli dei erano con me. Indietreggiò, finalmente, lo fece, indietreggiò. E io salii su quella nave. E le diedi fuoco.E' in quelle fiamme che mi dovete ricordare. Ettore, lo sconfitto, lo dovete ricordare in piedi, sulla poppa di quella nave, circondato dal fuoco. Ettore, il morto trascinato da Achille per tre volte intorno alle mura della sua città, lo dovete ricordare vivo, e vittorioso, e splendente nelle sue armi d'argento e di bronzo. Ho imparato da una regina le parole che adesso mi sono rimaste e che voglio dire a voi: ricordatevi di me, ricordatevi di me, e dimenticate il mio destino.(Ettore, "Omero, Iliade")”