“Mi guardo allo specchio: un fantasma stravolto. Mi lego i capelli e ignoro le borse che mi sono venute sotto gli occhi a forza di piangere. Non riesco a credere che il mondo mi stia crollando addosso, che tutte le mie speranze e i miei sogni vadano in pezzi. No, no, non pensarci. Non adesso, non ancora.”
“Il problema principale era che non mi piace la gente, e in particolare non mi piacciono i miei coetanei, cioè quelli che popolano l'università. Ci andrei volentieri se ci studiassero persone più grandi. Non sono uno psicopatico (anche se non credo che gli psicopatici si definiscano tali), è solo che non mi diverto a stare con gli altri. Le persone, almeno per quel che ho visto fino adesso, non si dicono granché di interessante. Parlano delle loro vite, e le loro vite non sono interessanti. Quindi mi secco. Secondo me bisognerebbe parlare solo se si ha da dire qualcosa di interessante o di necessario.”
“Mi alzo. Mi sporgo attraverso il tavolo e la bacio. Nicole mi risponde. È solo un attimo. Invece è lungo quanto la vita che ho già vissuto. Quella di prima che le mia labbra incontrassero le sue. Quella che adesso mi sembra sia stata inutile e senza senso.«Paolo, io non… io non capisco più niente» sussurra Nicole.«I sogni non vanno capiti.»”
“Alla fine sono passati due anni, ma ancora la cerco e ci penso. Cosa mi manca di lei? Mi manca soprattutto il futuro. Nel senso che mi mancano tutte le cose che ancora non so e che vorrei scoprire con lei. Mi manca tutto ciò che avremmo potuto vivere insieme.”
“Io non ho il coraggio di alzare gli occhi e capisco che veramente sono peggio dell'edera, dove m'attacco muoio e forse c'ha ragione lui che non faccio altro che scaricargli addosso tutte le mie paranoie, cioè dire sempre, fai te che per me è lo stesso.”
“In altre parole, io non ci riesco a prendermi le cose che voglio. Mi sembra ridicolo pensare che le cose siano semplicemente lì, e che è colpa tua se non te le prendi. Non ci ho mai creduto alla storia che bastasse allungare la mano. E il fatto che un altro ci riesca non mi convince nemmeno per un attimo che sia vera, e questo è tutto.”
“Di solito non parlo con gli sconosciuti. Non mi piace parlare con chi non conosco. E non per via della famosa frasa Non Dare Confidenza Agli Sconosciuti che ci ripetono continuamente a scuola, che tradotto vuol dire non accettare caramelle o un passaggio da uno sconosciuto perché vuole fare sesso con te. Non è questo che mi preoccupa. Se un estraneo mi toccassse lo colpirei immediatamente, e io so colpire molto forte. Come per esempio quella volta che ho preso a pugni Sarah perché mi aveva tirato i capelli e l’ho fatta svenire e le è venuta una commozione cerebrale e avevano dovuto portarla al pronto soccorso. E poi ho sempre con me il mio coltellino svizzero che ha una lama a seghetto in grado di tranciare le dita a un uomo.Non mi piacciono gli estranei perché non mi piacciono le persone che non conosco. Sono difficili da capire. È come essere in Francia, dove andavamo qualche volta in campeggio quando mio madre era ancora viva. E io odiavo la Francia perché se entravo in un negozio o in un ristorante o andavo in spiaggia non capivo quel che dicevano, e la cosa mi terrorizzava.Ci metto un sacco di tempo per abituarmi alle persone che non conosco. Per esempio, quando c’è una persona nuova che viene a lavorare a scuola non le parlo per settimane e settimane. Rimango a osservarla finché non sono certo di potermi fidare. Poi le faccio delle domande su di lei, sulla sua vita, del tipo se ha degli animali e qual è il suo colore preferito e cosa sa dell’Apollo e le chiedo di disegnarmi una piantina della sua casa e voglio sapere che macchina ha, così imparo a conoscerla. Da quel momento in poi non mi preoccupo più se mi capita di trovarmi nella stessa stanza con questa persona e non sono più obbligato a stare all’erta.”