“Che tempi maledetti sono i periodi di malattia nell'infanzia e nell'adolescenza! Il mondo esterno, il mondo del tempo libero in cortile o in giardino, oppure per strada, penetra nella stanza del malato solo mediante rumori ovattati. Dentro prolifera il mondo delle storie con i loro eroi, di cui il malato legge. La febbre, che indebolisce la percezione e acuisce la fantasia, trasforma la stanza del malato in uno spazio nuovo, familiare ed estraneo al contempo; dei mostri emergono con le loro smorfie dei disegni delle tendine della tappezzeria, e le sedie, il tavolo, gli scaffali e l'armadio si ergono come montagne, palazzi o navi, tanto vicini da poterli toccare, eppure così lontani. I rintocchi dell'orologio del campanile, il rombo di una macchina che passa e le luci riflesse dei fari, che perlustrano le pareti e soffitto della stanza, accompagnano il malato attraverso le lunghe ore della notte. Sono ore senza sonno, ma non ore insonni; non ore di carenza ma di pienezza. Desideri, ricordi, paure e voglie combinano dei labirinti in cui il malato si perde, si ritrova e si perde. Sono ore in cui tutto è possibile, sia nel bene che nel male.”