“Tu, tu che non vuoi ch'io mi renda conto della tua posizione, e hai la vanità di mantenere a me la mia; tu che, conservandomi il lusso nel quale vivevo, conservi la distanza morale che ci separa; tu, infine, che non giudichi il mio affetto abbastanza disinteressato per dividere con me quello che possiedi, e basterebbe a vivere insieme felici, mentre preferisci rovinarti, schiavo di un pregiudizio ridicolo. E credi tu davvero ch'io possa paragonare una carrozza e alcuni gioielli col tuo amore? E che il mio bene consista in vanità che accontentano quando non si ha amore per nulla, ma diventano subito meschine quando si ama? Tu pagherai i miei debiti, impegnerai il tuo patrimonio e insomma mi manterrai! Quanto potrà durare tutto ciò? Due o tre mesi, e sarà troppo tardi allora vivere come ti propongo, perché allora tu dovrai accettare tutto da me, ciò che un gentiluomo non può fare. Oggi invece, con i tuoi otto o diecimila franchi di rendita, possiamo vivere. Io venderò il mio superfluo, e da questa sola vendita ricaverò duemila franchi di reddito. Affitteremo un bell'appartamento per tutti e due. L'estate andremo in campagna, non in una casa con questa, ma in una casetta che basti a due persone. Tu sei indipendente, io libera, e siamo giovani: in nome di Dio, Armando, non ricacciarmi nella vita che fui costretta a condurre un giorno.”