“La morte (o la sua allusione) rende preziosi e patetici gli uomini. Questi si commuovono per la loro condizione di fantasmi; ogni atto che compiono può esser l'ultimo; non c'è volto che non sia sul punto di cancellarsi come il volto d'un sogno. Tutto, tra i mortali, ha il valore dell'irrecuperabile e del casuale. Tra gl'Immortali, invece, ogni atto (e ogni pensiero) è l'eco d'altri che nel passato lo precedettero, senza principio visibile, o il fedele presagio di altri che nel futuro lo ripeteranno fino alla vertigine. Non c'è cosa che non sia come perduta tra infaticabili specchi. Nulla può accadere una sola volta, nulla è preziosamente precario. Ciò ch'è elegiaco, grave, rituale, non vale per gli Immortali.”
“Per il candore e la semplicità della sua vita, c'è chi lo giudica un angelo; è una pietosa esagerazione, poiché non c'è uomo che sia esente da colpa.”
“Considerai anche che nei linguaggi umani non c'è proposizione che non implichi l'universo intero; dire la tigre è dire le tigri che la generarono, i cervi e le testuggini che divorò, il pascolo di cui si alimentarono i cervi, la terra che fu madre del pascolo, il cielo che dette luce alla terra.”
“Scrivo, lei ha scritto, che la memoria è fragile e il corso di una vita è molto breve e tutto avviene così in fretta, che non riusciamo a vedere il rapporto tra gli eventi, non possiamo misurare le conseguenze delle azioni, crediamo nella finzione del tempo, nel presente, nel passato, nel futuro, ma può anche darsi che tutto succeda simultaneamente...”
“- Nulla è eterno, Balbulus. E che cosa c'è di meglio, per le parole, che essere cantate in giro? Sì, certo, ogni volta mutano, hanno una melodia diversa. Ma non è questo il bello?”
“Ogni linguaggio è un alfabeto di simboli il cui uso presuppone un passato che gli interlocutori condividono; come trasmettere agli altri l'infinito Aleph, che la mia timorosa memoria a stento abbraccia?”
“Attraverso le inferriate della sua individualità, l’uomo fissa senza speranza le mura di cinta delle circostanze esteriori, finché arriva la morte e lo richiama a casa, alla sua libertà… Individualità! Ah, quello che si è, che si può e che si ha, sembra povero, grigio, modesto e noioso; ma quello che non si è, non si può e non si ha, è proprio quello che guardiamo con invidia struggente, che diventa amore per paura che diventi odio. Io porto in me il germe, la radice, la possibilità per tutte le attitudini e le attività di questo mondo… Dove potrei essere, se non fossi qui? Chi, che cosa, come potrei essere se non fossi me stesso, se questa mia persona non mi chiudesse, se non separasse la mia conoscenza da tutti coloro che sono me! L’organismo! Cieca, sconsiderata, deplorevole eruzione dell’incalzante volontà! Meglio, per davvero, che questa volontà si liberi nella notte senza spazio e senza tempo, invece di languire in prigione, appena illuminata da una tremula e vacillante fiammella dell’intelletto!”