“Ma in nessuna delle sue fantasie avrebbe potuto immaginare di finire intrappolato in una realtà puramente mentale, con il mondo reale ridotto a una distesa di cenere e fumo sovrastata da nubi tossiche e gas. Uno sconfinato spazio di terra senza futuro, di acqua senza vita. Una silenziosa palla di roccia in orbita nel Sistema Solare, divenuta all'improvviso inospitale. La civiltà di Alex aveva percorso l'ultimo tratto del sentiero. Si era arresa alla Natura. Aveva obbedito impotente alle leggi del cosmo, spietate e uguali per tutti i possibili universi paralleli. Ma nelle pieghe dei ricordi, là dove tutto era già successo e il tempo non seguiva più un andamento lineare, continuava a echeggiare un rumore di fondo. Un flebile, piccolo e insignificante crepitio.L'eco lontana della speranza.”

Leonardo Patrignani

Leonardo Patrignani - “Ma in nessuna delle sue fantasie...” 1

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“C'era come un odore di Tempo, Nell'aria della notte. Tomàs sorrise all'idea, continuando a rimuginarla. Era una strana idea. E che odore aveva il Tempo, poi? Odorava di polvere, di orologi e di gente. E che suono aveva il Tempo? Faceva un rumore di acque correnti nei recessi bui d'una grotta, di voci querule, di terra che risuonava con un tonfo cavo sui coperchi delle casse, e battere di pioggia. E, per arrivare alle estreme conseguenze: che aspetto aveva il Tempo? Era come neve che cade senza rumore in una camera buia, o come un film muto in un'antica sala cinematografica, cento miliardi di facce cadenti come palloncini di capodanno, giù, sempre più giù, nel nulla. Così il tempo odorava, questo era il rumore che faceva, era così che appariva. E quella notte – Tomàs immerse una mano nel vento fuori della vettura – quella notte tu quasi lo potevi toccare, il Tempo.(Cronache Marziane, trad. Giorgio Monicelli)”

Ray Bradbury
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“Passò per vie rumorose piene di luce, per gallerie dalla risonanza profonda, su cui, con rumore di tuono, rotolavano pesantemente i treni e che eran tutte tappezzate di annunzi reclamistici dai colori vistosi, vide splendidi palazzi, e case a quattro piani, strette, con finestre polverose che ammiccavan sulla via sporca; risalì file di strade che si somigliavano come orfanelle o ciechi, condotti in fila.Infine si svegliò lentamente alla realtà, e si sentì vecchia, triste e stanca, per aver vegliato e corso.Miserabili bottegucce si schiacciavano l'un l'altra per mettersi in evidenza: abiti vecchi per i più poveri, biancheria grigia per gli operai, e per tutti viveri a buon mercato. Ceste di pere, dure e verdi, e di prugne, nere e secche, aspettavano di sedurre una clientela infantile, coperte da una rete a maglie strette che le salvava dai ladruncoli. In una botteguccia vide una donna obesa, che con le mani tremanti, secche e gialle, accendeva una lampada a petrolio. Ai suoi piedi un ragazzino la guardava con curiosità, con una carota, mezzo rosicchiata, nella sua mano di bambino sporco.Le strade, i cumuli di mercanzie, le camicie grigie, le pere, la rete, i visi stanchi delle persone, tutto era annerito dalla fuliggine grassa delle locomotive che passavano, brontolando, e dal fumo di tutti i camini degli stabilimenti che erano là, stretti gli uni vicino agli altri, come alberi di una foresta.“Ecco il tuo giorno di festa” pensava Franzi.Ella era ferita e inasprita fino al pianto, come se tutto: la strada grigia, la bruttezza della miseria, la tristezza della povertà, fossero state accumulate in quest'angolo di città straniera per disprezzarla.“Ecco il tuo giorno di festa” diceva in lei una voce chiara. E questa creatura che detestava sognare, che non comprendeva la morte, che non si attaccava che alla realtà, che non voleva conquistare e non desiderava che ciò che si può afferrare, ciò che è vibrante di vita: questa creatura si svegliava qui, nella grigia strada di un quartiere popolare di Praga, Zizkov, che nel crepuscolo confuso di una sera di primavera si prolungava a perdita d'occhio.“Ecco il tuo giorno di festa” pensava Franzi.Ella sentiva che non era solo questo giorno che la condannava, ma la troppo lunga fila di giorni di lavoro, fra cui essa aveva il suo posto: ancora grigio su grigio, come un orfanello in una lunga fila, come un seguito di ore vuote in un mondo vuoto. Vuoto? Non stava più la sua vita sulle ali della musica, la più umana di tutte le arti? Perchè dunque il suo passato restava così freddo, così paurosamente squallido, senza un sorriso, senza un ricordo, senza altro che tante pagine voltate, in un gran quaderno di musica? Aveva sempre suonato per se stessa e per la propria soddisfazione. A finestre e porte chiuse si era ubriacata di musica come di un vizio segreto.Che significato aveva per lei? Tanto? Ancora ieri ella vi aveva trovato consolazione, speranza, entusiasmo e pace, terra e cielo, letizia e dolore. Oggi tutto era lontano. Nessuno mai l'aveva ascoltata; mai nessuna delle sue parole si era riflessa nel sorriso di un'altra creatura; mai nessuno era stato dietro a lei e le aveva passato la mano sulla spalla all'ultimo accordo del pianoforte...”

Ernst Weiss
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“E l’amore guardò il tempo e rise, perché sapeva di non averne bisogno. Finse di morire per un giorno, e di rifiorire alla sera, senza leggi da rispettare. Si addormentò in un angolo di cuore per un tempo che non esisteva. Fuggì senza allontanarsi, ritornò senza essere partito, il tempo moriva e lui restava.”

Luigi Pirandello
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“Il diametro della bomba era di trenta centimetri e il diametro del suo raggio d'azione era di circa sette metri, con quattro morti e undici feriti... E non parliamo nemmeno del pianto degli orfani che si leva fino al trono di Dio e ben oltre, creando un creando un cerchio senza fine e senza Dio.”

Yehuda Amichai
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“Una di queste giovani madri non era che una ragazzina e mi fece male al cuore leggere quella sofferenza e pensare che scaturiva dall’animo di una bambina, un animo che non avrebbe dovuto ancora conoscere il dolore, ma soltanto la gioia del mattino della vita.”

Mark Twain
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