“Ella si sentiva talmente criminosa e colpevole, che non le rimaneva se non umiliarsi e domandar perdono; e nella vita adesso, all'infuori di lui, ella non aveva nessuno, così che rivolgeva appunto a lui la sua preghiera d'esser perdonata. Ella, guardandolo, sentiva fisicamente la propria umiliazione e non poteva più dir nulla. Egli invece sentiva quel che deve sentire un assassino quando vede il corpo privato della vita da lui. Questo coro privato della vita da lui era il loro amore, il primo periodo del loro amore. C'era qualcosa di orribile e di ripugnante nei ricordi di quello per cui era stato pagato questo orribile prezzo di vergogna. La vergogna dinanzi alla propria nudità spirituale la soffocava e si comunicava a lui. Ma, malgrado tutto l'orrore dell'assassino dinanzi al corpo dell'assassinato, bisogna tagliare a pezzi, nascondere questo corpo, bisogna approfittare di quel che l'assassino ha acquistato con l'assassinio.”

Lev Tolstoj

Lev Tolstoj - “Ella si sentiva talmente criminosa e...” 1

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“(…), il giorno in cui mi aveva promesso il Plaza se avessi trovato l'uomo giusto. Quel ricordo mi colmò di gioia invece di farmi piangere. Non avevo trovato l'uomo giusto, ma per la prima volta mi rendevo conto che il messaggio di mio padre non aveva niente a che fare con quello. Lui voleva semplicemente dirmi che avrei trovato la felicità e la serenità e quello che era meglio per me, ma solo dopo aver cercato con impegno e fatica. (…) E poi, aveva voluto dirmi di non avere paura, di non smettere di cercare.”

Melissa Senate
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“Vito c'ha pensato qualche volta al gigante che organizza il mondo. Si è chiesto se è fatto di persone, tante persone una sull'altra. E se lui sarà una di quelle persone minuscole ma decisive. È quello che un ragazzo dovrebbe sperare, partecipare all'organizzazione del mondo. Lui è sempre stato uno studente in fuga, e non solo dalla scuola. Da ogni forma di apprendimento. Abbassa la testa. Si vergogna di queste ambizioni improvvise. Non farà niente di buono, di rimarchevole. È più facile che accada così, che la sua vita passi inosservata.”

Margaret Mazzantini
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“Se lui avesse potuto dire il suo nome ancora una volta, a voce così bassa da poterla sentire invece che ascoltarla.Se lo avesse fatto, così piano da non permettere alla veglia di ricordarle perché quel suono non poteva più renderla felice.Se solo non avesse mai smesso di piovere.Eloise, sei sveglia?Sì, e non voglio.Sotto la mano il cuscino era fresco e morbido, negli spazi tra le sue dita se ne insinuavano altre, calde e dure perché abituate a riempire di lusinghe l'elsa di una spada, non solo la pelle di una donna. Prendeva la sua una mano fatta per accarezzare e per uccidere.Una mano che l'aveva accarezzata, e poi uccisa.«Axel».Forse c'era stato uno scatto di esultanza profonda, perché ridestandosi aveva pronunciato per prima cosa il suo nome.Qualcosa che aveva a che fare col possesso e il riconoscimento.Qualcosa di così profondo che, se non si fosse opposta, avrebbe finito per precipitarvi dentro.Qualcosa che tra loro due era sempre esistito.L'aveva accarezzata.A quanto le avevano raccontato, lui era stata la prima cosa del mondo su cui aveva aperto gli occhi. Un fagottino di neonata, avvolta tra le braccia di un bambinetto di tre anni appena, che sollevava di colpo le palpebre incontrando per la prima volta due occhi blu pieni di amore e trionfo fissi su di lei.E poi uccisa.Una cicatrice che si risvegliava pulsando, lo spettro di dolore di un arto amputato, che esisteva solo nel ricordo dei nervi e bruciava, bruciava come fuoco.Lui era sete, tanta da accettare di annegare pur di riuscire a bere.«Axel».«Sono qui».”

Virginia De Winter
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“Ci pareva, e così era, che il nulla pieno di morte in cui da dieci giorni ci aggiravamo come astri spenti avesse trovato un suo centro solido, un nucleo di condensazione: quattro uomini armati, ma non armati contro di noi; quattro messaggeri di pace, dai visi rozzi e puerili sotto i pesanti caschi di pelo.Non salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo. Era la stessa vergogna a noi ben nota, quella che ci sommergeva dopo le selezioni, ed ogni volta che ci toccava assistere o sottostare a un oltraggio: la vergogna che i tedeschi non conobbero, quello che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volontà buona sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa.Così per noi anche l'ora della libertà suonò grave e chiusa, e ci riempì gli animi, ad un tempo, di gioia e di un doloroso senso del pudore, per cui avremmo voluto lavare le nostre coscienze e le nostre memorie della bruttura che vi giaceva: e di pena, perché sentivamo che questo non poteva avvenire, che nulla mai più sarebbe potuto avvenire di così buono e puro da cancellare il nostro passato, e che i segni dell'offesa sarebbero rimasti in noi per sempre, e nei ricordi di chi vi ha assistito, e nei luoghi ove avvenne, e nei racconti che ne avremmo fatti. Poiché, ed è questo il tremendo privilegio della nostra generazione e del mio popolo, nessuno mai ha potuto meglio di noi cogliere la natura insanabile dell'offesa, che dilaga come un contagio. E' stolto pensare che la giustizia umana la estingua. Essa è una inesauribile fonte di male: spezza il corpo e l'anima dei sommersi, li spegne e li rende abietti; risale come infamia sugli oppressori, si perpetua come odio nei superstiti; e pullula in mille modi, contro la stessa volontà di tutti, come sete di vendetta, come cedimento morale, come negazione, come stanchezza, come rinuncia.”

Primo Levi
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“Che cosa avevano in comune quel corpo, l'uso che non poteva fare l'amore, i suoi inevitabili scopi, e il destino di un altro corpo di donna, votato a delicati rapimenti, dotato i una genialità da predone, di un'appassionata implacabilità, di una pedagogia ipocrita e incantatrice?"Nascondeva con difficoltà un dolore che non riusciva a comprendere. Che cosa aveva dunque conquistato, la notte scorsa, nell'ombra profumata, tra quelle braccia ansiose di farlo uomo e vittorioso? Il diritto di soffrire? Il diritto di mancare per debolezza davanti a una fanciulla innocente e pura? Il diritto di tremare se non si sa perchè, dinanzi alla delicata vita delle bestie e al sangue fuggito dalle sue sorgenti?"Ah, la luce sorda e rossastra di una camera sconosciuta! Ah, quella buia felicità, quella morte raggiunta per gradi, e poi la vita, recuperata a lenti colpi d'ala...""Quelle piccole orecchie arrossate risuonavano ancora di un grido sommesso, soffocato come quello di un essere che venga sgozzato? Qulle braccia, ricche di muscoli appena visibili, l'avevano portato, leggero, confuso, da questo mondo in un altro mondo; quella bocca avara di parole, s'era chinaa per trasmetter e per mormorare, indistinto, un canto che nasceva debole eco, dalle profondità in cui la vita è una convulsione terribile...Ella sapeva tutto...”

Colette
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