“Credevo che per Barney esistessi solo tu. Almeno questo è quello che dicono tutti. Senti, ambasciator non porta pena, ma secondo me non bisogna mai essere le ultime a sapere, e guarda che parlo per esperienza personale. Dorothy Weaver - tu non la conosci, ma non importa - lo ha visto mercoledì scorso al cocktail dei Johnson. E insomma, il tuo devoto maritino si era appiccicato ad una tizia. Le parlava fitto fitto, le sussurrava paroline all'orecchio. A un certo punto le ha persino massaggiato la schiena, e poi se ne sono andati insieme"."Non mi dici niente di nuovo"."Meno male, perchè l'ultima cosa al mondo che volevo era turbarti"."Vedi, il punto è che quella donna ero io. Usciti dai Johnson siamo andati al Ritz, abbiamo esagerato con lo champagne, e poi - ma guai se lo racconti in giro -, poi ho accettato di andare a casa con lui”

Mordecai Richler

Mordecai Richler - “Credevo che per Barney esistessi...” 1

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“C'è uno che dice, non so, "siamo andati a prscrxw, e poi lì abbiamo preso il treno per...", e io ti chiedo "Cos'ha detto?", e tu "E poi lì abbiamo preso il treno per Boston". "Ma no! Siamo andati a..?" e tu "EH, APPUNTO! E poi lì abbiamo preso il treno per Boston!" E se non è una cassetta che si può tornare indietro a risentirla IO NON SAPRO' MAI DOVE CAZZODIBUDDA SONO ANDATI!”

Tiziano Sclavi
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“Attraverso le inferriate della sua individualità, l’uomo fissa senza speranza le mura di cinta delle circostanze esteriori, finché arriva la morte e lo richiama a casa, alla sua libertà… Individualità! Ah, quello che si è, che si può e che si ha, sembra povero, grigio, modesto e noioso; ma quello che non si è, non si può e non si ha, è proprio quello che guardiamo con invidia struggente, che diventa amore per paura che diventi odio. Io porto in me il germe, la radice, la possibilità per tutte le attitudini e le attività di questo mondo… Dove potrei essere, se non fossi qui? Chi, che cosa, come potrei essere se non fossi me stesso, se questa mia persona non mi chiudesse, se non separasse la mia conoscenza da tutti coloro che sono me! L’organismo! Cieca, sconsiderata, deplorevole eruzione dell’incalzante volontà! Meglio, per davvero, che questa volontà si liberi nella notte senza spazio e senza tempo, invece di languire in prigione, appena illuminata da una tremula e vacillante fiammella dell’intelletto!”

Thomas Mann
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“Di solito non parlo con gli sconosciuti. Non mi piace parlare con chi non conosco. E non per via della famosa frasa Non Dare Confidenza Agli Sconosciuti che ci ripetono continuamente a scuola, che tradotto vuol dire non accettare caramelle o un passaggio da uno sconosciuto perché vuole fare sesso con te. Non è questo che mi preoccupa. Se un estraneo mi toccassse lo colpirei immediatamente, e io so colpire molto forte. Come per esempio quella volta che ho preso a pugni Sarah perché mi aveva tirato i capelli e l’ho fatta svenire e le è venuta una commozione cerebrale e avevano dovuto portarla al pronto soccorso. E poi ho sempre con me il mio coltellino svizzero che ha una lama a seghetto in grado di tranciare le dita a un uomo.Non mi piacciono gli estranei perché non mi piacciono le persone che non conosco. Sono difficili da capire. È come essere in Francia, dove andavamo qualche volta in campeggio quando mio madre era ancora viva. E io odiavo la Francia perché se entravo in un negozio o in un ristorante o andavo in spiaggia non capivo quel che dicevano, e la cosa mi terrorizzava.Ci metto un sacco di tempo per abituarmi alle persone che non conosco. Per esempio, quando c’è una persona nuova che viene a lavorare a scuola non le parlo per settimane e settimane. Rimango a osservarla finché non sono certo di potermi fidare. Poi le faccio delle domande su di lei, sulla sua vita, del tipo se ha degli animali e qual è il suo colore preferito e cosa sa dell’Apollo e le chiedo di disegnarmi una piantina della sua casa e voglio sapere che macchina ha, così imparo a conoscerla. Da quel momento in poi non mi preoccupo più se mi capita di trovarmi nella stessa stanza con questa persona e non sono più obbligato a stare all’erta.”

Mark Haddon
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“Tutta quella città… non se ne vedeva la fine… /La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine? /E il rumore /Su quella maledettissima scaletta… era molto bello, tutto… e io ero grande con quel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi, era garantito che sarei sceso, non c’era problema /Col mio cappello blu /Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino /Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino /Primo gradino, secondo /Non è quel che vidi che mi fermò /È quel che non vidi /Puoi capirlo, fratello?, è quel che non vidi… lo cercai ma non c’era, in tutta quella sterminata città c’era tutto tranne /C’era tutto /Ma non c’era una fine. Quel che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo /Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu, sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare. Loro sono 88. Tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu /Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me /Ma se io salgo su quella scaletta e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi /Milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai e questa è la vera verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita /Se quella tastiera è infinita, allora /Su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare. Ti sei seduto su un seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio /Cristo, ma le vedevi le strade? /Anche solo le strade, ce n’era a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una /A scegliere una donna /Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire /Tutto quel mondo /Quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce /E quanto ce n’è /Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla? A viverla… /Io sono nato su questa nave. E qui il mondo passava, ma a duemila persone per volta. E di desideri ce n’erano anche qui, ma non più di quelli che ci potevano stare tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità, su una tastiera che non era infinita.Io ho imparato così. La terra, quella è una nave troppo grande per me. È un viaggio troppo lungo. È una donna troppo bella. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare.”

Alessandro Baricco
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“Ginevra chiuse gli occhi; per alcuni instanti non capii se ridesse o piangesse. Poi vidi che quella che le agitava il petto era una risata. - Sei davvero uno sciocco - affermò. - Cerchi di aiutarmi! Credi che io ami Lancillotto?- Volevi che diventasse re - le ricordai.- Che c'entra con l'amore? - mi chiese con scherno. Volevo che fosse re perché è un debole, e in questo mondo una donna può comandare solo attraverso un uomo debole come lui. Artù non è un debole, invece. - Trasse un profondo respiro. - Ma Lancillotto lo è, e forse regnerà qui, quando verranno i sassoni, ma a controllarlo non sarò io, e neppure un'altra donna: sarà Cerdic, che è tutt'altro che un debole.”

Bernard Cornwell
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